L’uccisione brutale e immotivata di Alika Ogorchukwu ci addolora profondamente, ci ha lasciati ora scossi, ora attoniti, ora indignati, ora angosciati. Alcuni di noi conoscevano di persona Alika e le loro parole ci hanno tratteggiato, dietro un nome e un volto, una persona con la sua unicità e irripetibilitá, una persona che ora abbiamo perso per sempre. Leggiamo sui quotidiani, oltre alla descrizione sempre più dettagliata del fatto di cronaca, le interviste e i commenti che ne sono seguiti. Scrive il giornalista Varagona, intervistando Roberto Mancini, che “la frana che in questi anni ha travolto l’educazione civile, la coscienza collettiva e la democrazia si manifesta in questo territorio non solo per i fatti di sangue contro le persone migranti ma anche per la reazione di indifferenza, di irresponsabilità o persino di approvazione che troviamo in alcuni strati della popolazione”. Aggiungiamo a questa considerazione la diffusa desensibilizzazione e l’impoverimento dello spazio umano, personale e comunitario, che rende tutti spettatori senza avvertire la propria responsabilità in ciò che accade.
Lo dimostrano i video che circolano in rete che amplificano il senso di impotenza, la paura, ma pure l’estraneitá come se ciò che è successo non riguardasse ciascuno di noi.
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